Scheda informativa
Bullismo e prepotenze
Cos’è il bullismo
Il bullismo, ossia il problema delle prepotenze tra pari, è caratterizzato dalla tendenza a ripetersi nel tempo, dall’intenzionalità dell’attacco messo in atto dal/i prevaricatore/i e dalla presenza di uno squilibrio di potere tra il bullo e la vittima.
Il bambino/ragazzo prevaricato, infatti, è generalmente contraddistinto da una maggiore vulnerabilità, in quanto, ma non sempre, è fisicamente più debole rispetto al/i bullo/i, è più timido e meno capace di difendersi efficacemente dagli attacchi e dalle molestie del/i bullo/i ed è usualmente isolato e poco considerato dai compagni di classe.
Nel complesso il bullismo rappresenta un abuso sistematico di potere da parte del/i ragazzo/i che si rendono autori di prepotenze ai danni di uno o più compagni di scuola.
È possibile riconoscere come “prepotenza” qualunque aggressione, esplicita o nascosta, qualunque umiliazione od intimidazione perpetrata da uno o più bambini/ragazzi ai danni di uno o più compagni.
Le prepotenze possono essere poste in essere da singoli alunni, ma generalmente vedono il coinvolgimento del gruppo dei compagni, che operano a sostegno del bullo o partecipando attivamente alla prevaricazione o isolando la vittima e mostrandosi indifferenti nei suoi confronti. Talora il gruppo viene manipolato dal prepotente affinché più compagni partecipino alle prepotenze o molestino la vittima al posto del bullo (bullismo relazionale).
Gli atti di bullismo avvengono prevalentemente entro o nei dintorni del contesto scolastico, tuttavia in misura crescente le prepotenze vengono riportate nel contesto virtuale di internet (ad esempio attraverso la pubblicazione in rete di filmati che riprendono le prevaricazioni) o vengono messe in atto per mezzo delle tecnologie (uso di sms, chat-line, e-mail). In queste situazioni si parla di cyberbullying.
Tipologie di bullismo e di prepotenze.
BULLISMO
(prepotenze intenzionali, ripetute, attuate da uno o più bulli ai danni di compagni più deboli, timidi od isolati socialmente)
Bullismo individuale
(un solo bullo)
Bullismo di gruppo
(due o più prevaricatori)
Bullismo relazionale
(uso del gruppo come strumento di attacco)
PREPOTENZE
Prepotenze dirette
(molestie esplicite)
Prepotenze indirette
(molestie nascoste)
Cyberbullying
(molestie attuate attraverso strumenti tecnologici)
Anche una sola prepotenza costituisce un indicatore di disagio entro il gruppo classe, disagio che si configura esplicitamente come bullismo al ripresentarsi delle molestie (già due prevaricazioni, anche di diverso tipo, denotano la presenza di bullismo nel gruppo-classe).
Cosa non è bullismo
Prepotenza e reato. Una categoria di comportamenti non classificabili come bullismo (pur avendo con questo in comune le motivazioni iniziali, i destinatari, le condizioni in cui si manifestano) è quella degli atti particolarmente gravi, che si configurano come veri e propri reati. Aggressioni fisiche violente, utilizzo di armi o oggetti pericolosi, minacce gravi, molestie o abusi sessuali sono condotte che rientrano nella categoria dei comportamenti antisociali e devianti e non sono definibili come “bullismo”. In questi casi la scuola non può agire da sola ma deve appoggiarsi alle istituzioni del territorio.
Prepotenza e scherzo. Il limite tra prepotenza e scherzo è poco definito, tuttavia un punto di riferimento chiaro per discernere tra prepotenza e gioco è costituito dal disagio della vittima. Ricordando che per meccanismi psicologici di giustificazione ed autogiustificazione spesso il bullismo viene presentato dai prepotenti e dai loro compagni come azione scherzosa, ogni qual volta il bambino/ragazzo che subisce la situazione esprime con parole o atteggiamenti di essere in difficoltà è possibile ravvisare l’evento come un episodio di prepotenza.
A tale riguardo, è utile ricordare che bambini e ragazzi valutano come prepotenti od umilianti condizioni ed atti che non sempre vengono percepiti come gravi da parte degli adulti. I vissuti dei ragazzi coinvolti, pertanto, costituiscono i principali indicatori per l’individuazione di singole prepotenze e di situazioni di bullismo.
Come riconoscere la vittima?
Come scientificamente accertato, non sono peraltro le caratteristiche fisiche a condizionare il ragazzo/a al punto da fargli assumere il ruolo di vittima, ma piuttosto il carattere ansioso-remissivo e la scarsa autostima, solo in parte giustificata da effettive condizioni di inferiorità fisica o svantaggio.
Indicatori primari
È stato preso in giro pesantemente dai compagni e/o ridicolizzato.
È stato intimidito, minacciato.
È stato umiliato.
È stato picchiato, spinto, aggredito fisicamente e non è riuscito a difendersi.
È stato coinvolto in liti e scontri senza essersi difeso adeguatamente.
Oggetti di sua proprietà sono stati danneggiati, rubati, sparsi in giro o nascosti.
Presenta lividi, tagli, graffi, vestiti rovinati e non sa dare spiegazione di come si siano prodotti.
Indicatori secondari
Durante i momenti di interazione libera tra pari (intervallo, mensa…) è restato da solo, è stato isolato dai compagni.
È stato scelto per ultimo nei giochi di squadra.
Durante i momenti di sospensione delle lezioni (intervallo, mensa…) ha evitato di interagire con i compagni ed è rimasto nelle vicinanze di un adulto (insegnante, personale non docente..).
Sembra depresso, giù di morale.
Piagnucola.
Sembra ansioso, insicuro (ad esempio trova difficile parlare in classe).
Registra un immotivato calo del rendimento, improvviso o graduale.
Gli indicatori primari rappresentano indici più marcati di rischio per la condizione di vittima. L’elevata frequenza di comparsa di due o più indicatori primari segnala una situazione di più elevato rischio di bullismo reiterato. La presenza di un solo indicatore primario o di soli indicatori secondari e con bassa frequenza di comparsa denotano un potenziale rischio di vittimizzazione occasionale.
Come riconoscere il bullo?
Il tratto distintivo è l’aggressività, abitualmente verso i coetanei e, occasionalmente e in condizioni di presunta impunità, anche verso gli adulti. Il bullo crede di poter dimostrare non solo superiorità fisica, ma intelligenza, furbizia, capacità di dominare le persone e le situazioni. Contrariamente a quanto si crede, il bambino prepotente ha un livello di ansia e insicurezza particolarmente basso, generalmente non presenta problemi di autostima e ha un temperamento attivo-impulsivo, spesso abbinato a fattori di educazione familiare che rimandano in prevalenza all’anaffettività, al permissivismo, all’autoritarismo e alle punizioni fisiche.
Indicatori
L’elevata frequenza di comparsa di due o più indicatori segnala una situazione di più forte rischio di bullismo reiterato. La presenza di un solo indicatore e con bassa frequenza di comparsa denota il rischio potenziale che l’alunno sia un prevaricatore occasionale.
Oltre al bullo e alla vittima, gli amici/compagni possono partecipare alle prepotenze rivestendo i seguenti ruoli:
È importante evidenziare che anche il bullo può essere esso stesso vittima di sopraffazioni (bullo-vittima) e che il comportamento prepotente può essere l’espressione di carenze nell’elaborazione delle esperienze affettive, nelle competenze sociali e nelle abilità di gestione del conflitto.
L’INTERVENTO DELLA SCUOLA SUL PROBLEMA
Come prevenire il bullismo? Come intervenire di fronte ai comportamenti devianti?
Il bullismo può nascere anche dall’esasperazione di conflitti presenti nel contesto scolastico. Il conflitto è da considerarsi come un campanello d’allarme e può degenerare in forme patologiche quando non si hanno gli strumenti che permettono di riconoscerlo, esprimerlo e gestirlo in un’ottica evolutiva dei rapporti. Se non gestito, il conflitto rischia di mutarsi e provocare effetti distruttivi sulle relazioni (prevaricazione e sofferenza) e sull’ambiente (alterazione del clima di gruppo).
Prevenire e affrontare il bullismo, dunque, significa non solo identificare vittime e prepotenti, ma affrontare e intervenire sul gruppo dei pari nel suo insieme.
La classe è, nello specifico, il luogo privilegiato in cui, dopo il verificarsi di un caso di bullismo ma anche nell’intento di prevenire il dilagare di certi fenomeni, si deve svolgere l’irrinunciabile azione educativa a favore di tutti gli studenti, coinvolgendo i genitori degli allievi e delle allieve e tutti i docenti.
L’attuazione del programma di intervento si basa prevalentemente sull’impiego delle risorse umane presenti e disponibili: insegnanti e altro personale scolastico, studenti e genitori.
Non serve, se non in casi particolarmente gravi, l’opera di psicologi, assistenti sociali, o altri specialisti.
L’elemento fondamentale per una buona riuscita del programma è infatti la corretta, compiuta e convinta “ristrutturazione” dell’ambiente sociale.
Il bullismo, infatti, non dipende esclusivamente dalla quantità di fattori temperamentali e familiari che favoriscono l’insorgere di comportamenti aggressivi.
Gli atteggiamenti, le abitudini e i comportamenti del personale scolastico, in particolare degli insegnanti, sono determinanti nella prevenzione e nel controllo delle azioni di bullismo (…). Gli stessi atteggiamenti degli studenti, così come quelli dei loro genitori, possono giocare un ruolo significativo nel ridurre la dimensione del fenomeno.
Sia in funzione preventiva, quando siano presenti comportamenti di tipo conflittuale o un clima relazionale che possono favorire il sorgere di fenomeni di bullismo, o comunque appena si è accertato il verificarsi di alcuni degli indicatori, è necessario attuare interventi mirati sul gruppo classe, gestiti in collaborazione con il corpo docente e d’intesa con le famiglie - ad esempio percorsi di mediazione volta alla gestione del conflitto, gruppo di discussione, rappresentazioni e attività di giochi di ruolo sull’argomento del bullismo.
Tali interventi sono molto utili per comprendere le dinamiche affettive che hanno originato i comportamenti disfunzionali. Inoltre consentono l’elaborazione del fenomeno e la ricerca di modelli nuovi applicabili, volti a modificare le regole instaurate e gli atteggiamenti informali, impliciti ed espliciti, del gruppo che supporta il bullo.
Laddove vi siano accertate situazioni di bullismo può essere utile anche intraprendere percorsi individualizzati di sostegno alle vittime, volti ad incrementarne l’autostima e l’assertività e a potenziarne le risorse di interazione sociale. Anche i prevaricatori possono essere destinatari di interventi mirati a smuoverne le competenze empatiche e a favorire una loro condivisione delle norme morali.
Gli interventi mirati sul gruppo-classe non dovrebbero essere sporadici, isolati dal contesto della vita quotidiana della classe, ma piuttosto ascriversi in un quadro complessivo di attenzione che interessi tutte le persone, le relazioni, le regole, le abitudini del contesto scolastico
Sarebbe opportuno coinvolgere tutte le componenti dell’ Istituzione Scolastica, per creare un ambiente scolastico caratterizzato da empatia, interessi positivi e coinvolgimento emotivo degli alunni.
Riferimenti a titolo indicativo:
Il Consiglio di classe:
Il Collegio Docenti:
I Genitori:
I Collaboratori scolastici:
Gli studenti:
Come e quando applicare sanzioni disciplinari?
Gli episodi di bullismo accertati devono essere subito sanzionati, privilegiando il ricorso a sanzioni disciplinari mirati alla riparazione, convertibili in attività a favore della comunità scolastica, in conformità con quanto indicato nella direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione n. 16 del 5 febbraio 2007 e nello Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria– d.P.R. 21 novembre 2007 n.235 “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al d.P.R. 24 giugno 1998 n. 249”(Testo in vigore dal 2 gennaio 2008).
Le competenze in materia disciplinare, se il comportamento trasgressivo è previsto dal regolamento disciplinare d’Istituto, redatto in conformità alle norme sopraindicate, spettano al Consiglio di classe.
Le impugnazioni dei provvedimenti disciplinari vanno indirizzate all’Organo Regionale di Garanzia, presso l’Ufficio Scolastico Regionale.
Le sanzioni disciplinari irrogate dalla scuola non sostituiscono né sono sostituite da eventuali sanzioni penali (vedi punto 3.2) se il comportamento violento e prevaricatore si configura come reato, né quelle civili per eventuali danni ingiustamente causati a cose o a persone; queste ultime colpiscono i genitori dei minori che hanno causato tali danni (responsabilità civile oggettiva) o gli adulti che li hanno in custodia.
Gli insegnanti hanno una posizione analoga, ma non identica a quella dei genitori. Perché vi sia responsabilità dell'insegnante, l'atto illecito deve essere commesso dall'allievo durante il tempo in cui è sottoposto alla sua vigilanza (art. 2048, 2° comma cod. civ.). Come il genitore, l'insegnante può liberarsi da responsabilità soltanto dimostrando di non avere potuto impedire il fatto. Un'ipotesi tipica di responsabilità dell'insegnante si ha quando il fatto si verifica mentre egli si è allontanato dalla classe. Ma la vigilanza deve essere assicurata all'interno della struttura scolastica anche fuori dalla classe e spetta alla direzione dell'istituto scolastico fare in modo che gli studenti siano adeguatamente seguiti per tutto il tempo in cui si trovano all'interno dell'istituto stesso. Com'è noto alla responsabilità dell'insegnante si affianca quella dello Stato (art. 28 Costituzione), naturalmente allorché l'istituto scolastico sia statale. Il danneggiato può agire indifferentemente contro l'insegnante o contro lo Stato; di fatto, risponde sempre lo Stato, che può poi rivalersi contro l'insegnante, se questi ha agito con dolo (intenzione) o colpa grave (violazione grave dei doveri che incombono su di lui).
QUANDO LA SCUOLA NON PUO’ AGIRE DA SOLA
Il ruolo dei Servizi Sociali
Il dialogo tra scuola e famiglia per la creazione di un intervento educativo sinergico è necessario e preliminare agli interventi dei servizi psico – socio - educativi presenti sul territorio.
La creazione di un ambito di relazioni di scambio reciprocamente propositivo tra scuola e famiglia pone le basi per una presentazione spontanea delle famiglie in difficoltà ai Servizi territoriali e ne facilita l’utilizzo delle risorse.
La mancata presentazione spontanea pone, infatti, problemi nell’aggancio tra utenti e Servizi e rende ulteriormente difficile un supporto costruttivo e condiviso con le famiglie.
La scuola qualora rilevi una situazione psico – socio- educativa problematica deve convocare i genitori o gli esercenti la potestà ed informarli delle risorse territoriali a cui possono rivolgersi ed eventualmente della segnalazione che si intende effettuare ai Servizi territoriali.
Per quanto attiene l’obbligo e le modalità di segnalazione o di denuncia si rinvia a quanto puntualizzato dalla Magistratura (riportato a seguire).
La scuola deve quindi avere una mappa dettagliata dei servizi del proprio territorio per facilitare, promuovere e supportare la richiesta delle famiglie ai Servizi psico –socio-educativi.
Come è noto, l’ente locale dispone tendenzialmente di risorse socio - educative, mentre la competenza psicologica e psicoterapeutica è demandata all’Asl e all’Azienda Ospedaliera.
Il fenomeno del bullismo è fortemente caratterizzato dalla turbolenza relazionale dello sviluppo del ragazzo e dalle fisiologiche difficoltà genitoriali e,più in generale, del mondo adulto nel gestirne la risoluzione evolutiva. La competenza psicologica deve quindi essere salvaguardata e coinvolta nella gestione di tali problematiche che, per definizione, non si riducono alla sola dimensione socio - educativa.
Vi è inoltre una molteplicità di iniziative dei singoli ambiti territoriali che il privato sociale (cooperative, associazioni di volontariato sociale,...) può progettare di concerto con l’ente locale, che possono utilmente porsi come risorse di supporto sia in ambito scolastico sia in ambito familiare.
Il ruolo e i compiti dell’Autorità Giudiziaria: Procura Minorile, Tribunale per i Minorenni.
Quando l’episodio di bullismo si configura come vero e proprio reato
Si conviene attualmente, in attesa di interventi legislativi specifici, che il bullismo non sia reato, ma una forma di maleducazione, nel senso di non - educazione o educazione distorta del minore rispetto al rapporto con gli altri e in particolare all’interazione con coetanei (e anche con adulti) nelle formazioni sociali ove si svolge il suo percorso di crescita e di formazione, segnatamente scuola, palestre, attività sportive, oratori, centri di aggregazione.
Esso si manifesta con comportamenti e atteggiamenti costanti e ripetitivi di arroganza, prepotenza, prevaricazione, disprezzo, dileggio, emarginazione, esclusione ai danni di una o più persone, posti in essere da un solo soggetto (ma in genere con la complicità o connivenza di altri) o da un gruppo.
I comportamenti definibili “Bullismo” possono esprimersi nelle forme più varie e non sono definibili a priori; le caratteristiche che aiutano a individuarli e a distinguerli dallo scherzo, dalle intemperanze caratteriali, dai diverbi usuali nelle comunità giovanili sono, come innanzi esposto, la costanza nel tempo e ripetitività, la asimmetria, il disagio della/delle vittima/vittime.
Il reato è una condotta non generica, ma tipica, cioè descritta in modo specifico e dettagliato dalla norma penale, in tutti i suoi elementi, oggettivi (che definiscono l’azione materiale sanzionata dalla legge) e soggettivi (che riguardano il dolo o la colpa di chi compie l’azione).
Esempio:
☐ se un ragazzo nasconde il giubbotto a un compagno e glielo ridà alla fine della lezione è uno scherzo o un dispetto , e spetterà all’insegnante , caso per caso, valutare se è un atto occasionale, o se è espressione di bullismo, e se e quali provvedimenti assumere;
☐ se un ragazzo prende di nascosto il giubbotto ( o gli occhiali, o il cellulare ) di un compagno e se lo porta a casa per tenerlo per sé o per venderlo o comunque per ricavarne un profitto, è reato di furto;
☐ se un ragazzo costringe con minaccia o violenza un compagno a consegnargli il giubbotto (o gli occhiali o il cellulare) , è reato di rapina
☐ se un ragazzo mette le mani addosso a una compagna o a un compagno e la o lo palpeggia contro la sua volontà è reato di violenza sessuale; se la compagna o il compagno sono consenzienti e il fatto avviene a scuola, forse è un problema di mancanza della più elementare disciplina scolastica che, se non viene subito affrontato con adeguati interventi, può poi degenerare in altri comportamenti non voluti che possono configurare reato di violenza sessuale .
Quali sono gli estremi per procedere alla denuncia penale o alla segnalazione all’Autorità giudiziaria?
La denuncia per reati per i quali si procede d’ufficio
I pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di denunciare all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferire, la notizia di ogni reato procedibile d’ufficio di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio (art. 331 cod. proc. pen.).
Un analogo obbligo, detto di referto, hanno gli esercenti una professione sanitaria che prestano la loro assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere di ufficio (art. 334 cod. proc. pen.).
La denuncia e il referto rappresentano un preciso obbligo di legge e la loro omissione costituisce reato (artt. 361, 362, 365 cod. pen.).
Essi devono essere fatti anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito (art. 331 cod. proc. pen.).
I soggetti obbligati alla denuncia
Soggetti obbligati alla denuncia sono i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio.
Vi rientrano, pertanto, anche gli operatori scolastici, sia il personale docente che quello amministrativo.
Come presentare la denuncia
La denuncia di un reato va fatta per iscritto, in modo accurato, e deve essere indirizzata alla Procura della Repubblica competente: alla Procura della Repubblica presso il Tribunale del luogo dove è avvenuto il reato, se indiziato del reato è un maggiorenne; alla Procura della Repubblica per i minorenni se indiziato è un minore.
Essa può essere presentata, più semplicemente, anche ad un ufficiale di polizia giudiziaria (carabinieri, polizia, guardia di finanza, vigili urbani, ecc.).
Ai sensi dell'art. 332 cod. proc. pen. per notizia di reato s’intende l’esposizione degli elementi essenziali del fatto, il giorno dell’acquisizione del fatto nonché le fonti di prova già note. Essa contiene le generalità, il domicilio e quant’altro utile ad identificare la persona alla quale il reato è attribuito, la persona offesa, e tutti coloro che sono in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto.
Procedibilità d’ufficio ed a querela di parte.
Per alcuni reati, la legge rimette alla persona offesa la scelta di richiedere la punizione del colpevole; tale scelta viene esercitata attraverso la querela.
In mancanza di querela, tali reati non sono procedibili, o meglio, i relativi autori non sono perseguibili dalla giustizia.
Sono punibili a querela di parte quei reati che sono stati ritenuti dal legislatore meno gravi, cioè non tali da destare particolare allarme sociale.
Esempi più ricorrenti: furto semplice (cioè non aggravato da particolari circostanze, quali, ad esempio, la violenza sulle cose, la destrezza, ecc.); ingiuria; diffamazione; percosse; lesioni non aggravate da cui derivi una malattia con prognosi di guarigione fino a venti giorni.
Esempi invece di reati perseguibili d’ufficio: furto aggravato; rapina; estorsione; violenza privata; violenza sessuale; atti sessuali compiuti con persona di età inferiore a dieci anni; minacce gravi; danneggiamento aggravato, lesioni aggravate (es. commesse da più persone riunite, commesse con armi, ecc.).
E’ comunque opportuno che la scuola tenga contatti con il Commissariato di P. S. o la caserma dei Carabinieri di zona per avere indicazioni nei casi dubbi.
Ricapitolando, nei casi di reati perseguibili d’ufficio, gli operatori scolastici hanno l’obbligo di effettuare la denuncia all’autorità giudiziaria (o, più semplicemente, come detto, agli organi di Polizia territorialmente competenti).
Si sottolinea l’importanza di attenersi a questo semplice principio, evitando di entrare nella valutazione di merito del fatto accaduto, al fine, eventualmente, di evitare una denuncia: può accadere, infatti, che si ritenga trattarsi di episodio di lieve entità, non particolarmente grave, sporadico, occasionale, involontario.
Si può essere portati, pertanto, a non denunciare l’accaduto magari “a fin di bene”, ritenendosi impropria o inadeguata, o comunque eccessiva una segnalazione all’autorità giudiziaria.
La valutazione sul merito ( sulla gravità o meno del fatto) compete all’autorità giudiziaria; l’obbligo di denuncia, in fondo, non è che un aspetto del “principio di legalità”, che va non solo ricordato a parole ma esercitato concretamente, soprattutto agli occhi degli studenti e delle loro famiglie, inteso come valore e riferimento educativo.
Nei casi, invece, di commissione di reati perseguibili a querela, non vi è obbligo di denuncia.
E’ opportuno, in tali casi, fare opera di informazione e sensibilizzazione nei confronti delle vittime di reati e delle rispettive famiglie, riguardo alla possibilità e all’opportunità di presentare querela.
In questi casi, quando non vi sia la querela della persona offesa dal reato, è opportuno che la scuola valuti, unitamente al servizio sociale, se non ricorrono gli estremi, nelle azioni dei presunti autori del reato, di comportamenti denotanti una irregolarità della condotta e del carattere, con conseguente segnalazione civile alla Procura per i minorenni.
La scuola, infatti, è comunque “testimone” di ciò che avviene al suo interno e, quindi, anche delle situazioni di difficoltà, disagio, disadattamento, sofferenza dei propri studenti che, ancorché non prodotti da fatti-reato, o prodotti da reati non procedibili, dovrebbero tuttavia promuovere interventi di sostegno e di rieducazione da parte delle istituzioni.
In tal caso, pertanto, la segnalazione si presenta come situazione non obbligatoria, ma certamente opportuna e consigliata, ed è preferibile sia indirizzata ai servizi socio-sanitari del territorio.
La scuola può segnalare direttamente alla Procura per i Minorenni la situazione del minorenne che, con suoi comportamenti gravi, manifesti una “irregolarità della condotta e del carattere”, cioè un disagio sociale che faccia temere la caduta nella devianza vera e propria.
Si ritiene tuttavia che tale passo debba avvenire come ultima ratio, dopo che siano falliti i tentativi di recupero che la scuola dovrebbe attivare, prioritariamente, informando direttamente e coinvolgendo la famiglia e il servizio sociale competente per il luogo di residenza del ragazzo.
La segnalazione alla Procura dovrebbe, invece, avvenire dopo che questa prima fase di intervento è fallita, ed è preferibile, in tal caso, che la segnalazione venga trasmessa congiuntamente dal servizio e dalla scuola, e ciò sia per fare in modo che alla Procura pervenga fin dall’inizio un quadro abbastanza completo di informazioni sulla situazione complessiva del ragazzo e del nucleo familiare, e anche per evitare che la scuola venga poi vissuta dalla famiglia come persecutoria o ostile, fatto che potrebbe compromettere in seguito eventuali interventi di recupero , e creare un clima di diffidenza reciproca tra le varie componenti della vita scolastica.
La Procura per i Minorenni, se ravvisa nella segnalazione gli elementi per chiedere l’apertura di un procedimento rieducativo, propone ricorso al Tribunale per i Minorenni.
Ciò che, in definitiva, rileva, e che va opportunamente evidenziato, è il corretto inquadramento della condotta di c.d. “bullismo” in una specifica figura di reato o meno.
In caso positivo, la fattispecie va trattata come condotta di reato, anche se inserita in un contesto di “bullismo”, con tutte le conseguenze di cui sopra in tema di denuncia.
In caso negativo, l’episodio potrebbe rivelare una condotta “predeviante” e,pertanto, vanno attivate le competenze e risorse di contrasto in sede civile.
Ruolo e competenze del Tribunale per i Minorenni
Il Tribunale per i Minorenni ha competenza sia civile, che penale, che rieducativa. Nella competenza civile emette, nell’ambito di procedimenti promossi in genere su ricorso della Procura per i Minorenni o di parte, provvedimenti di protezione dei minorenni nelle ipotesi di omissione o inadeguatezza di cure o di comportamenti pregiudizievoli da parte dei genitori ( il Tribunale peri minorenni è il “giudice della potestà genitoriale”).
Nella competenza penale giudica i minorenni che hanno compiuto dei reati.
Nella competenza rieducativa dispone progetti di recupero di minorenni che abbiano evidenziato irregolarità della condotta, cioè un grave disadattamento sociale che prelude alla vera e propria devianza .
Il Tribunale entra quindi in campo nella competenza penale quando la Procura per i Minorenni, a conclusione delle indagini preliminari su un fatto qualificato come reato, chiede che il minore autore del reato sia rinviato a giudizio, cioè sia sottoposto a processo penale.
L’ordinamento tuttavia ha congegnato il processo minorile in modo da dare spazio, all’interno di esso, a interventi rieducativi che possano aiutare il minore a ravvedersi, e a evitare una condanna, e la condanna viene irrogata solo quando tutti questi interventi falliscono.
Nella competenza rieducativa, il Tribunale Min., quando il P.M.minorile chiede l’apertura di un procedimento rieducativo(detto, anche, in gergo, “procedimento amministrativo”) nei confronti di un certo minore, richiede al servizio sociale di accertare le cause del disadattamento del ragazzo (cause che possono anche dipendere, almeno in parte, da problematiche dei genitori), sente attraverso un giudice delegato il ragazzo e i genitori, e, se ritiene la necessità di interventi, dispone che il servizio sociale attui un progetto di sostegno che, con il coinvolgimento del nucleo familiare, aiuti il ragazzo a riprendere un percorso di crescita corretto.
Può anche disporre il collocamento del minore in comunità, e tale collocamento non è da intendersi in questo caso come una misura restrittiva penale, bensì un intervento rieducativo. Se queste misure ottengono i risultati per i quali sono disposte, il procedimento si chiude dando atto del recupero del minore, con la revoca dei provvedimenti emessi, che comunque cessano con il compimento della maggiore età.
In alcuni casi, quando se ne ravvisa la necessità, se i progetti funzionano, e se il ragazzo consente, gli interventi di sostegno iniziati prima dei 18 anni possono anche continuare oltre la maggiore età, fino al compimento dei 21 anni.
Purtroppo però il limite degli interventi rieducativi è che, se il ragazzo e la famiglia non collaborano, non vi sono sanzioni, e il Tribunale per i Minorenni può alla fine solo dare atto della impossibilità di rieducazione.
In definitiva, deve essere chiaro che gli interventi rieducativi, anche se disposti dall’Autorità giudiziaria, non possono raggiungere gli obiettivi per i quali sono disposti se non si riesce a ottenere la collaborazione degli interessati, il minore e la sua famiglia.
Per ottenere ciò non si può far leva sull’imposizione coattiva, sia perché di fatto non ci sono nell’ordinamento gli strumenti coercitivi per ottenerla, sia soprattutto poiché il cambiamento personale può essere frutto solo di condivisione e motivazione autentiche.
Diverso è l’ambito penale, dove il processo, se è accertata la sussistenza del reato e la responsabilità dell'autore, e se falliscono gli interventi rieducativi, comporta alla fine la condanna alla pena prevista dalla legge.